Illustrazione di un esopianeta (Canva FOTO) . systemscue.it
Il telescopio spaziale James Webb ci offre l’opportunità di vedere “in diretta” l’immagine di un esopianeta, la prima nel suo genere.
Dopo anni passati a osservare e studiare mondi già noti, il James Webb Space Telescope (JWST) ha finalmente fatto una cosa mai fatta. Per la prima volta, ha scoperto e fotografato direttamente un pianeta extrasolare tutto suo: si chiama TWA 7b. Con una massa di circa 0,3 volte quella di Giove, o circa 100 masse terrestri, TWA 7b è l’esopianeta più leggero mai osservato direttamente fuori dal Sistema Solare.
La sua stella madre si chiama CE Antilae, o TWA 7, e si trova a circa 111 anni luce da noi. È una stella giovane, giovanissima in termini astronomici in quanto parliamo di pochi milioni di anni, appena nata rispetto al nostro Sole che ne ha 4,6 miliardi. Proprio questa giovinezza, e il fatto che la vediamo “dall’alto”, ha reso possibile il rilevamento di strutture nei dischi di polveri che la circondano.
Il JWST ha rilevato qualcosa di particolare all’interno di uno di questi anelli di detriti, una zona chiamata R2. Lì c’era una sorgente infrarossa sospetta. Non una stella, né un oggetto del nostro Sistema Solare. I dati, incrociati con simulazioni e osservazioni precedenti, hanno puntato in una direzione chiara: un pianeta. Un piccolo gigante freddo, invisibile a occhio nudo ma brillante nell’infrarosso, la specialità del telescopio da 10 miliardi di dollari.
Il bello è che questo non è solo un record tecnico. È anche un indizio prezioso su come nascono e si evolvono i sistemi planetari. TWA 7b non si è limitato a essere trovato: ha lasciato la sua impronta gravitazionale nel disco di detriti, scolpendo anelli e vuoti che gli astronomi hanno finalmente potuto spiegare (Lagrange et al., 2025).
L’immagine realizzata dal JWST mostra CE Antilae circondata da tre anelli principali. Il secondo, R2, è una fascia sottile a circa 52 unità astronomiche dalla stella, con due spazi vuoti ai lati. E proprio lì, in quella zona “sospetta”, il telescopio ha rilevato una sorgente estremamente rossa nell’infrarosso: il candidato ideale per essere un pianeta giovane e freddo. Altri strumenti, come SPHERE del VLT e NICMOS dell’Hubble, non avevano mai visto nulla in quel punto. Questo ha rafforzato l’idea che si trattasse di qualcosa di nuovo e reale, non un artefatto.
I modelli termici utilizzati per interpretare i dati (tra cui HADES) indicano che TWA 7b ha una temperatura compresa tra 305 e 335 K, appena sopra la temperatura ambiente terrestre. La sua massa, stimata intorno a 0,3 volte quella di Giove, lo rende un raro esempio di pianeta sub-gioviano freddo osservabile direttamente. Simulazioni dinamiche mostrano come il pianeta abbia probabilmente scavato il vuoto nella R2, creando una struttura simile a un anello di co-orbitali, una sorta di “traccia gravitazionale” lasciata dalla sua presenza. In pratica, ha scolpito l’ambiente attorno a sé senza che nessuno lo vedesse, almeno fino a oggi (Lagrange, 2025).
Il team ha valutato diverse possibilità. Poteva essere un oggetto del nostro Sistema Solare? Poco probabile: niente movimento tra le immagini scattate a due ore di distanza, e nessuna “scia” che indicasse una cometa o simili. Una galassia di sfondo? Anche questo è stato escluso. Non ci sono controparti visibili né nei dati di ALMA né in quelli dell’Hubble. E soprattutto la posizione, perfettamente allineata con una struttura nel disco, suggerisce un’origine locale, orbitale. Insomma, tutti gli indizi portano a un’unica ipotesi: un pianeta.
I dati sono stati combinati con simulazioni N-body che hanno riprodotto la distribuzione del disco planetesimale attorno a una stella di massa 0,46 volte quella del Sole, con un pianeta da 0,34 MJ in orbita a 52 au. Dopo sei milioni di anni (l’età stimata del sistema), i risultati mostrano una corrispondenza impressionante con le immagini reali. Il pianeta non solo spiega il vuoto nella R2, ma anche la sua struttura stessa. TWA 7b è ora un caso di scuola per studiare l’interazione tra pianeti e dischi: un’occasione d’oro per confrontare giovani mondi con i nostri giganti maturi, come Giove e Saturno.