Un team dell’Università di Cambridge ha realizzato i primi LED basati su nanoparticelle isolanti, rendendoli funzionali tramite molecole organiche che agiscono come antenne molecolari.
Il risultato è una sorgente di luce nel vicino infrarosso (NIR-II) estremamente pura, a bassa tensione, con potenziali applicazioni in diagnostica medica, comunicazioni ottiche e sensori ad alta precisione.
L’innovazione riportata da un gruppo di ricercatori del Cavendish Laboratory, University of Cambridge, introduce un paradigma completamente nuovo per i dispositivi optoelettronici: utilizzare nanoparticelle isolanti, storicamente considerate inadatte alla conduzione di corrente elettrica, come sorgenti di luce attivamente controllabili.
Le nanoparticelle impiegate sono nanocristalli drogati con lantanidi (LnNPs), apprezzati per l’emissione luminosa nitida e stabile, soprattutto nella regione near-infrared II (NIR-II), tra 1000 e 1700 nanometri. Questa finestra spettrale è particolarmente importante per le applicazioni biomediche, in quanto consente una maggiore penetrazione della luce nei tessuti rispetto al visibile.
Il problema risiedeva nella natura isolante di queste particelle, che impediva l’iniezione di cariche elettriche necessarie per generare luminescenza elettrostatica. La ricerca ha superato questo vincolo con una tecnica basata su ibridi organico-inorganici, sfruttando molecole organiche progettate per agire da antenne energetiche.
La soluzione chiave consiste nell’integrare 9-antracenecarbossilico (9-ACA), una molecola organica che si lega alla superficie delle LnNPs. Queste molecole fungono da antenne molecolari: assorbono le cariche elettriche iniettate e le trasferiscono verso i centri emissivi del nanocristallo attraverso un processo noto come trasferimento di energia triplet-triplet.
In condizioni normali, lo stato eccitato di tipo tripletto delle molecole organiche è considerato “dark”, cioè inefficiente nella generazione di fotoni. In questo caso, però, l’accoppiamento tra molecola e nanoparticella consente un trasferimento di energia con efficienza superiore al 98%, permettendo l’emissione nel vicino infrarosso con spettro ultraselettivo.
Questa architettura consente la costruzione di LED ibridi denominati LnLEDs, che funzionano con una tensione di alimentazione di circa 5 volt. Il vantaggio principale è la produzione di luce estremamente pura, con una larghezza spettrale strettissima, ben al di sotto di quanto ottenibile con tecnologie convenzionali come i quantum dots (QDs).
Questo livello di purezza rappresenta un vantaggio critico per applicazioni che richiedono sorgenti coerenti e stabili:
Nel campo della biomedicina, la luce nella finestra NIR-II consente di attraversare più strati di tessuto rispetto alle lunghezze d’onda visibili o NIR-I. Gli LnLEDs potrebbero essere integrati in dispositivi miniaturizzati, potenzialmente iniettabili o indossabili, capaci di:
La stabilità della lunghezza d’onda emessa e la bassa dispersione spettrale rendono queste sorgenti ideali per imaging ad alta risoluzione, riducendo artefatti ottici e migliorando il contrasto nei tessuti biologici.
Nel settore delle telecomunicazioni ottiche, i dispositivi che operano nel vicino infrarosso trovano applicazione in fibre ottiche, laser di comunicazione e canali di trasmissione ottica. L’impiego di LnLEDs in questo contesto può portare a:
I sensori costruiti con questa tecnologia potranno operare su lunghezze d’onda specifiche, minimizzando l’interferenza di fondo e migliorando la precisione del rilevamento.
Nelle prime fasi di sperimentazione, i dispositivi hanno raggiunto un’efficienza quantica esterna superiore allo 0,6%, un risultato notevole per componenti che impiegano nanoparticelle elettricamente isolate.
Il team ha identificato numerosi percorsi di ottimizzazione:
Questa versatilità progettuale suggerisce la possibilità di creare dispositivi su misura per applicazioni specifiche, modulando la composizione molecolare e la configurazione elettronica.
La scoperta apre le porte alla progettazione di una classe completamente nuova di dispositivi optoelettronici, basati sull’interazione controllata tra molecole organiche funzionalizzate e nanomateriali inorganici isolanti.
I ricercatori ritengono che il principio possa essere esteso a un’ampia gamma di materiali:
Le possibilità includono anche l’integrazione con tecnologie già esistenti, come i fotodiodi organici, transistor a effetto di campo per sensori ottici e matrici LED flessibili per biomedicale o wearables.
Il progetto è stato sostenuto dal programma UK Research and Innovation (UKRI) attraverso il finanziamento Frontier Research Grant (EP/Y015584/1), oltre a borse individuali post-doc del programma Marie Skłodowska-Curie Fellowship.
L’accesso a questi fondi ha consentito lo sviluppo di una ricerca interdisciplinare che unisce:
L’integrazione di competenze altamente specializzate è stata determinante per superare una barriera ritenuta per anni insormontabile nel settore dei materiali isolanti applicati all’optoelettronica.
Il principio dimostrato dai ricercatori del Cavendish Laboratory non si limita a un singolo dispositivo, ma si propone come una piattaforma tecnologica replicabile. La possibilità di combinare molecole progettate ad hoc con materiali nanoparticellari isolanti apre la strada a un numero potenzialmente illimitato di applicazioni:
Il carattere modulare della piattaforma permetterà di personalizzare i dispositivi in funzione della lunghezza d’onda, della tensione di esercizio e delle condizioni operative, un vantaggio competitivo rispetto alle tecnologie attualmente disponibili sul mercato.
La scoperta rappresenta un punto di svolta nella progettazione di LED, dimostrando che anche i materiali ritenuti inadatti per la conduzione elettrica possono diventare funzionali grazie a un’architettura molecolare ben progettata. Questo apre una nuova era per l’ingegneria della luce.